A fine luglio e per tutto il mese di agosto continuarono i bombardamenti su Foggia. A tutte le ore del giorno e della notte, squadriglie di fortezze volati sorvolavano San Severo dirette a Foggia per scaricare sulla città martire il loro carico micidiale di bombe che provocavano distruzione e morte.
Una mattina, dopo il passaggio degli aerei, volli salire sul campanile della Cattedrale e vidi in diretta lo spettacolo terribile dell’incursione su Foggia: raccapriccio e disperazione provocò il 22 luglio 1943, giovedì, alle ore 10. La gente fu sorpresa dal suono delle sirene e, prima che potesse mettersi in salvo, subì una carneficina da parte degli aerei alleati. Le fortezze volanti volavano a bassa quota e sganciavano bombe. Le formazioni leggere picchiavano con sinistro fragore sulla villa e mitragliavano la gente che fuggiva e cercava rifugio sotto gli alberi e sotto i sedili. Le strade si coprirono di morti. Per l’identificazione i cadaveri vennero allineati lungo il viale della stazione. Quelli irriconoscibili furono seppelliti in una fossa comune al cimitero.
Ricordo che, nel primo pomeriggio, giunse a San Severo un camion con rimorchio carico di feriti e moribondi che furono sistemati alla meglio per terra lungo i corridoi del nostro ospedale. Da tutti i lati del camion colava sangue. Gli edifici pubblici davano ospitalità agli sfollati foggiani, mentre la fame imperversava e si temeva che anche San Severo subisse la stessa sorte. Dopo ferragosto la città cominciò a spopolarsi rapidamente. La popolazione si sparse nelle masserie e nei casolari di campagna. Anche mio padre, che allora aveva 43 anni, decise di trasportare la famiglia (moglie e cinque figli) in un casolare in località “Coppe de porche” su via Castelnuovo, a 4 chilometri dalla città. Un amico aveva messo a nostra disposizione il suo casolare. Caricammo l’indispensabile (due reti, due materassi, una cassapanca con un po’ di biancheria, le pentole per cucinare e un po’ di viveri) e ci avviamo verso la residenza estiva. Papà si improvvisò carrettiere. Noi ragazzi non eravamo mai stati in campagna per cui, il desiderio di vivere in completa libertà, ci riempiva di gioia. Ci divertivamo ad andare a caccia di lucertole, ad arrampicarci sugli alberi, a privare i mandorli dei frutti. Dal pozzo attingevamo acqua fresca. Per i bisogni corporali bisognava andare “ddret ‘a caselle”. Tanti nostri vicini di casa abitavano nei casolari sparsi per la campagna. Alcuni al chiar di luna suonavano strumenti musicali, altri ridevano, cantavano e ballavano. Non c’erano apparecchi radio per cui le rare notizie ci venivano trasmesse da chi faceva una capatina in città per rifornirsi di viveri. Il suono delle sirene, però, ci faceva capire che l’aviazione alleata martellava Foggia. Mio padre, agente di custodia presso le carceri di San Severo, quando era fuori servizio stava con noi in campagna ma non appena suonava la sirena, indossava la divisa e, di giorno o di notte, montava in bicicletta per andare in servizio. Quando l’allarme cessava, ritornava da noi. Qualche volta, prima di arrivare suonava il “cessato allarme” e quindi faceva dietro front.
Una quindicina di giorni fa, dopo 59 anni, ho voluto rivedere quei luoghi e confesso che mi è venuto un nodo alla gola ed un pensiero di nostalgia nel riconoscere “a casella”, ora abbastanza malandata, il cui proprietario attuale è il sig. Farina, che mi ha fatto rivedere l’interno: non sono riuscito a capacitarmi di come abbiamo fatto in sette a vivere per una ventina di giorni in nove metri quadrati. Il 5 settembre piovve e non ci fu più possibile vivere in campagna. C’era circa mezzo metro di fango. Quanto più mio padre “minacciava” il cavallo “c’u scruiete” tanto più la ruota s’affossava ed il cavallo girava in tondo perché non riusciva a venirne fuori. Ci volle l’aiuto di un carrettiere che, preso il cavallo per la “capezza”, lo tirò fuori dalla melma. Entrammo in città da via San Rocco. Un giovane ciclista, che correva in bicicletta verso la campagna, ci gridò a squarciagola: «Evviva! È tornata la pace in tutto il mondo! Voi siete i portatori della pace!». In serata in città ci fu grande animazione. Qualcuno mi disse che nella chiesa di Sant’Agostino aveva visto un soldato tedesco che in ginocchio ed a gran voce ringraziava la Madonna del Soccorso per la fine della guerra. Ma il “bello” doveva ancora venire!
a cura di Domenico Tota
articolo già pubblicato su La Gazzetta di San Severo, 16/03/20