C’erano una volta le fosse granarie

Mentre Cerignola, fiera delle sue civiltà contadina, così com’era il piano delle fosse granarie, a San Severo una passata Amministrazione Civica, vergognandosi delle proprie origini contadine, ha cancellato il ricordo storico di un’epoca dalla quale proveniamo. Dietro mia insistenza, la prima Amministrazione Giuliani ha provveduto a svuotare dalla terra una fossa granaria, abbandonata, in via Minuziano. Un’altra, ben tenuta ed illuminata, fa bella mostra in Piazza Carmine. Fino al 1958 ho abitato a Largo Sanità e la visione delle fosse granarie mi era particolarmente familiare. Ho voluto interpellare un testimone oculare, il mio consuocero Vincenzo Salvato, che per molti anni ha lavorato presso la locale Carovana Facchini. Ho appreso cose che non sapevo e che voglio raccontare ai Lettori perché non vada perduto il ricordo di un periodo storico dal quale ci separano solo 50 anni, ma che sembrano un’eternità! Mi sono servito di una carta topografica di San Severo, datata 8 ottobre 1889, per individuare le fosse disseminate in citta: largo Sanità, via Bixio, largo S. Antonio Abate, via Minuziano (nello spazio antistante al Palazzo Mazzilli), lo spiazzo doe adesso c’è il busto di Casiglio, il piazzale che esisteva sull’area delle Poste Centrali, davanti al Palazzo La Monaca (ex mercato coperto), piazza Carmine, dietro e davanti alla Chiesa di San Nicola, su via Castelnuovo ed in via Belmonte (in uno spiazzo denominato “campesanticchie”). Da un conteggio approssimativo, pare che le fosse granarie fossero 500. il grano si conservava bene nelle fosse che potevano contenere da 300 a 500 quintali di grano. Questa soluzione era conveniente per i proprietari del grano perché su ogni cento quintali, per l’umidità del sottosuolo, il cereale aumentava di un quintale. Le fosse erano “padronali”, nel senso che erano di proprietà privata. Fraccacreta, Naturale, Masselli, Mascia, Scala e De Lucretiis erano i principali padroni di fosse, scavate a regola d’arte con le pareti laterali a botte, tappezzate di pietre ben squadrate e col fondo piatto. Il diametro interno era di m 3,50 circa e la profondità di m 5. qualche volta c’erano infiltrazioni di acqua dal fondo ed il grano ammuffiva. Ho voluto schematizzare la conformazione di una fossa. Esternamente si presentava come nella figura n. 1. era delimitata da 4 “cordoni” in pietra e ogni lato misurava m 1,80. All’interno dei quattro “cordoni” si erigeva un “tuppo” (mucchio di terra) che sporgeva di circa mezzo metro all’esterno. Sotto il “tuppo”, c’erano uno spazio vuoto coperto da una grossa pietra (a). Quando i mediatori (carlantine) volevano comprare il grano di una fossa, non la scoperchiavano completamente ma scostavano la terra nella fossa. Quindi introducevano un’asta lunga più di tre metri (fig. 4), avente alla base un cono capovolto di lamiera in cui mettevano uno strofinaccio legato ad una corda (b). I compratori prelevavano un campione di grano a diverse profondità: bastava tirare dall’alto la cordicella ed il cono si riempiva di grano che veniva esaminato dal compratore. Per versare il grano nelle fosse, non le scoprivano tutte ma le usavano lo stesso sistema usato per prelevare i campioni. Proprio di fronte alle attuali Poste Centrali, c’era la sede della carovana dei facchini, ai quali era affidato il compito del prelievo del grano dalle fosse. Lavoravano a squadre di 11 persone. Nella fig. 3, ai quattro angoli (a,b,c,d) si sistemavano i facchini che avevano il compito di portare in superficie i “panère” (recipienti di legno che potevano contenere una decina di chili di grano). Nella fossa scendeva uno che, a turno, riempiva i “panère”, il cui contenuto versavano nei sacchi. Altri facchini sistemavano il sacco sulla “bascuglia” (la bascula) e regolavano il peso a kg. 100. Il sacco, chiuso con una cordicella, era sistemato sul mezzo di trasporto (carretto, furgone o altro). Nel punto in cui la tramvia Torremaggiore-San Severo faceva la curva verso la stazione ferroviaria. I Casillo, provenienti dalla zona di Napoli, costruirono un mulino-pastificio. Nei pressi della curva, avevano sistemato dei binari morti dove sostavano i carri-merce per essere caricati di grano che i Casillo acquistavano per i loro opifici o che spedivano, tramite ferrovia, in ogni parte d’Italia. Vincenzo Salvato, prima col carretto tirato da cavalli e poi col furgone, aveva il compito di portare i sacchi di grano dalle fosse al mulino, dove il grano si trasformava in farina, semola e crusca. Salvato caricava anche i carri ferroviari con sacchi da un quintale. Semola e farina prendevano la via dei pastifici Corticelli di Bologna, De Cecco di Pescara ed altri del nord, mentre la crusca era diretta a Napoli per ottenere mangimi per animali. Il nostro amico, per ogni carro riempito percepiva 5 lire, che erano “un capitale”. La vita dei facchini era molto grama perché il salario era misero e si lavorava solo in determinati periodi dell’anno. Vincenzo Salvato è una miniera di notizie di vita cittadina che ricorda con una lucidità di memoria sorprendente.

A cura di Domenico Tota

articolo già pubblicato su La Gazzetta di San Severo, 6 novembre 2004

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